Grandi massicci montuosi, fra i più alti di tutto l’Appennino, dominano la vasta area selvaggia situata nel cuore del territorio abruzzese. Inaspettatamente una sconfinata pianura d’alta quota si fa spazio tra le vette, lasciando incantato chiunque si trovi al suo cospetto.  Ad un’altezza di circa di 1800 metri sul livello del mare si estende l’altopiano di Campo Imperatore, 75 km² quadrati di prati sconfinati e monti dai dolci profili. Ci troviamo all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, istituito nel 1991 per tutelare l’alto valore naturalistico ma anche storico di quest’area.

42° 26′ 34.963″ N – 13° 33′ 31.405″ E

Ammirandone i paesaggi è impossibile non essere raggiunti da un senso di pace ed eternità. L’immensità del creato sembra più comprensibile ed è apprezzabile la magnificenza di cui solo madre natura è capace; tanto che il nome, tradizione vuole sia stato un omaggio degno di un sovrano: Federico II di Svezia, re di Sicilia, re di Germania e Gerusalemme e Imperatore del Sacro Romano Impero.

Queste terre pianeggianti ad un’altura insolita per i confini italiani come insoliti sono i panorami che offrono, furono state appellate dal noto etnologo, scrittore, alpinista, fotografo fiorentino, Fosco Maraini, Piccolo Tibet; il nostro piccolo Tibet. Non solo per la somiglianza visiva ma anche per l’impulso ascetico che questi luoghi infondono e dal quale è impossibile non farsi pervadere.

Anticamente la piana era parzialmente ricoperta da un grande lago paludoso, originatosi a seguito della scomparsa dei ghiacciai. Il ritirarsi delle grandi masse di ghiaccio nel corso di milioni di anni esercitarono una lenta azione erosiva sugli strati sottostanti che, congiuntamente a fenomeni alluvionali e all’azione del vento, ne modellarono le rocce e conferirono all’ambiente l’aspetto attuale.

Campo imperatore Abruzzo

La piana si trova a un’altitudine che oscilla tra i 1500 e i 1900 metri, circondata da vette oltre i 2000 metri come il Corno Grande (2912 m s.l.m.), il Monte Aquila (2494 m s.l.m.) e il Monte Camicia (2564 m s.l.m.) e si compone di forme geomorfologiche quali circhi glaciali, morene, fiumare, brecciai, comunemente chiamati ghiaioni, rock glaciers; elementi che influenzano fortemente la vegetazione.Gli sterminati pascoli sono composti prevalentemente di graminacee, in particolare varie specie di festuche colonizzano habitat ostili come quelli influenzati dai brecciai, spesso accompagnate da specie di rilevanza naturalistica quali la Viola di Eugenia (Viola eugeniae subsp. eugeniae), la Pulsatilla alpina (Pulsatilla alpina subsp. millefoliata) e l’Arenaria di Bertoloni (Arenaria bertolonii).  L’altra fitocenesi prevalente è il salserieto a dominanza di Sesleria juncifolia e la rara ed endemica sesleria delle paludi Sesleria caerulea. La vegetazione bassa con sporadiche formazioni arboree contribuisce al senso di vastità che questo ambiente trasmette. Tutte le essenze sono raccolte nel Giardino Alpino di Campo Imperatore, uno dei pochissimi giardini di altitudine degli Appennini fondato nel 1950.

Una terra selvaggia dove la natura prospera e insieme all’uomo trova il suo equilibrio, un luogo dove è possibile toccare con mano l’autenticità dei tempi che furono. Le sue peculiarità geografiche, morfologiche e naturali non sono riscontrabili in tutto il territorio europeo e furono fondamentali per lo sviluppo e prosperità delle popolazioni che abitavano questi luoghi: in particolare, gli estesi pascoli favorirono  l’allevamento di ovini, bovini ed equini, tanto che, fin da tempi immemori, nobili  famiglie come i Piccolomini o i Medici ebbero qui dei possedimenti a sostegno delle loro attività commerciali nel settore della lana.

Nel corso dei secoli queste terre assistettero allo stagionale errare di pastori e del loro bestiame al seguito, che raggiungevano questi alpeggi in estate e transumavano nel Tavoliere delle Puglie nel periodo invernale; con se la dura e solitaria vita pastorale, antico mestiere sopravvissuto anche alle rivoluzioni del mondo moderno. Tutt’oggi, tali pascoli sono animati dallo scalpiccio di zoccoli di cavalli liberi, una delle poche zone che ospitano ancora mandrie allo stato brado.

Campo imperatore Abruzzo

Oltre alle specie faunistiche addomesticate dall’uomo, l’area è frequentata da rapaci non comuni come l’aquila reale (Aquila chrysaetos), l’astore (Accipiter gentilis), il falco pellegrino (Falco peregrinus), il lanario (Falco biarmicus), il lodolaio (Falco subbuteo), dai i grandi erbivori presenti in tutto il parco nazionale come il cervo (Cervus elaphus), il capriolo (Capreolus capreolus), in particolare è da segnalare il camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pyrenaica ornata), specie endemica con una popolazione di pochi esemplari. Un’altra importante presenza è quella della vipera dell’Orsini (Vipera ursinii), specie esclusiva delle quote più alte dell’Appennino centrale e rigidamente tutelata vista la sua vulnerabilità. Fra i predatori, il lupo appenninico (Canis lupus italicus), la volpe (Vulpes vulpes), il gatto selvatico (Felis silvestris) e saltuariamente l’ orso marsicano (Ursus arctos marsicanus).

Nel cuore dell’area è presente un importante Osservatorio Astronomico situato a circa 2200 metri di quota e istituito nel 1958; molte centinaia sono i visitatori ogni anno.

Territorialmente l’altopiano appartiene ai comuni del versante meridionale del Gran Sasso, da L’Aquila a Castel del Monte, passando da Santo Stefano, Barisciano, Calascio. In quest’ultimo comune di sole 130 anime, ricade la nota e molto fotografata Rocca Calascio.

Posto a un’altitudine di circa 1.450 m s.l.m. , l’antico e disabitato borgo ebbe origine intorno all’anno 1000 d.c., dal XV secolo fu proprietà della famiglia Piccolomini per passare poi nelle mani della famiglia dei Medici a metà del ‘500, in quanto luogo deputato al controllo dei capi di pecore durante la transumanza sulla direttrice del regio tratturo per Foggia. A seguito di un terremoto devastante nel 1703, Rocca Calascio vide i propri abitanti stabilirsi nella sottostante Calascio, per rimanere poi completamente disabitata nel XX secolo. Il castello, per meglio dire le rovine che ne testimoniano l’antica gloria, è posto oltre i 1.500 metri di altitudine ed è una delle roccaforti più alte e suggestive d’Italia.

Ad oggi brulica di visitatori incantati dal suo fascino senza tempo e deve anche la sua notorietà grazie al fatto di essere stata scelta come set cinematografico di alcuni film negli anni ‘80, fra cui Lady Hawke (1985, di Richard Donner) e Il nome della rosa (1986, di Jean-Jacques Annaud).

Terra di transumanza, dal manto bianco in inverno e dalle tinte violacee grazie alle fioriture primaverili del crocus; ultima prigione del nostro ultimo dittatore e terra dove la fauna selvatica prospera in libertà; un luogo dove il cielo è più vicino e l’orizzonte si fa più lontano.

Penna e scatti di Benedetta Perissi

La colonna sonora per esplorare questi luoghi?

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