Giallo verde rosso Montalcino

Se dopo un lauto pranzo ritmato da piatti stracolmi di sapori della terra e allegre chiacchiere in compagnia, complice il rubino intenso del buon vino, ti  affacci alla finestra al calar del sole autunnale e quel che vedi son pennellate calde, a delinear panorami della più bella campagna toscana, con quel tocco di nebbia a rendere ancora più suggestivo il quadro, embè dove ti troverai mai? A Montalcino.

Un quadro che dovrebbe essere incorniciato e appeso su prestigiose mura, da apprezzare degustando un Brunello, ma non è la mano di un pittore ad averlo creato. La natura e braccia forti sono gli artisti dei suoi paesaggi, dei suoi sapori, della sua tradizione.

campagna toscana

43° 3′ 29.879″ N – 11° 29′ 24.237″ E

Posto in cima a un colle ad un’altezza di 600 metri s.l.m., il piccolo quanto ameno borgo di Montalcino sovrasta dominando la vallata circostante, la Val d’Orcia, regalando panorami mozzafiato. Paesaggi  del Parco artistico, naturale e culturale della Val d’Orcia, inseriti nella lista dei siti del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dal 2004. Fluidamente inserito nei movimenti ondulatori delle colline, come anche gli altri due famosi borghi della Val d’Orcia, San Quirico e Pienza, può essere la tappa iniziale per esplorare con tutti e cinque i sensi questo territorio a sud delle mura di Siena e che si estende fino al confine laziale.

Un territorio solcato da numerose strade bianche e sentieri che tra campi coltivati, vigneti e boschetti, conducono il vagabondo, a estasiarsi a ogni passo e ad interrompere l’andatura per tirar fuori la fotocamera e immortalare quel paesaggio, che rievoca pensieri degni di uno scrittore.

«Questa valle… dove verdeggia di annose e foltissime boscaglie cosparse di selci, di asce di pietra e di bronzo, fa testimonianza del primo passo della vita umana; dove serva spezzati gli archi di un ponte, ricorda la forza di Roma; nei castelli serba la potenza feudale, nelle pievi quella religiosa, nelle “grancie” quella ospitaliera , dappertutto quella della natura e degli elementi, dall’urto del vento che stroncò le cime dei faggi, allo scroscio dell’acqua che travolse il villaggio…». Così il marchese Fabio Bargagli Petrucci, cultore di studi storico-artistici nato a Siena verso la fine del 1800, omaggia questa valle, scrigno di arte, cultura e soprattutto natura.

Se vuoi provare un’esperienza autentica in questi luoghi, prova l’escursione Montalcino e Sant’Antimo.

Non solo la bellezza di questa terra viene omaggiata, anche i suoi prodotti. Si potrebbe scommettere con certa vincita, che a leggere Montalcino nel titolo, la mente del lettore sia stata subito catapultata sull’immagine di Bacco che porge a sapienza un bel calice di nobile nettare quanto bruno, il Brunello, appunto. Bruno come il tipo di uva Sangiovese grosso, che viene utilizzata in purezza per la sua produzione, risalire all’etimologia mai fu così immediato. Famoso e apprezzato in tutto il mondo, Docg, costoso, pregiato, è stato citato anche in un giallo di Agatha Christie. Che sia verità, leggenda metropolitana o una riuscita impresa di marketing, non c’è stata fortuita occasione di imbattersi nell’implicata menzione nel romanzo; anzi se il qui presente lettore ne avesse comprovata certezza, farebbe cosa assai gradita a scriverci e condividerlo. Insomma, pare che la regina del giallo, si sia avvalsa del Brunello per far smascherare il colpevole da Poirot, il protagonista più famoso dei suoi libri. Il reo, asserendo che al momento del delitto stava degustando una bottiglia di Brunello di Montalcino dell’annata 1900, entra in contraddizione e fa cadere il suo alibi in quanto quell’anno non venne commercializzata l’annata in questione. A voi adesso indagare, come l’investigatore Poirot, e confermare o far cadere l’autenticità della citazione.

Vino e romanzi a parte, non rimane che avventurarsi in questa terra. Dal profano al sacro, in discesa, oppure anche al contrario ma in salita, dal borgo di vizi e piaceri di Montalcino, si può scendere attraverso la sentieristica che si snoda tra colline e boschi di leccio, fra l’altro molti quotano l’etimologia del nome derivante dal latino mons ilcinus ovvero monte dei lecci, e giungere nella mistica valle sempre dai toni medievali dove viene accolta l’abbazia di Sant’Antimo, in prossimità di Castelnuovo dell’Abate. Non una passeggiata post pranzo, un vero e proprio trekking in cui macinare un pò di chilometri, circondati dalla campagna più bella e come meta un esempio architettonico romanico fra i più belli e importanti in Toscana, con richiami ai modelli francesi e lombardi, dove mente, piedi e spirito si incontrano.

L’abbazie è pervasa da un’atmosfera ascetica e misteriosa, come anche le sue origini, leggenda vuole che sia stato Carlo Magno a fondarla nel 781 d.C.. In ritorno da Roma lungo la Via Francigena, che passa nei pressi di Montalcino e più precisamente attraverso il vicino borgo di San Quirico d’Orcia, il Grande sostò nella valle per scampare all’epidemia di peste che si era scatenata nella zona. Affinché la pestilenza finisse, fondò l’abbazia per rendere grazia.
Ad oggi l’abbazia conta anche una farmacia monastica dove vengono venduti miele, caramelle e tisane realizzati secondo le ricette della tradizione erboristica monastica, prodotti per la cura del corpo con essenze naturali ed erbe officinali e la birra, sia bionda che ambrata. Non solo, viene prodotto l’amaro di Sant’Antimo, realizzato con l’erba carlina, l’erba che leggenda vuole fosse stata usata per guarire l’esercito di Carlo Magno dalla peste. 

strada bianca autunno

Clomp clomp, cin cin!

Penna e scatti di Benedetta Perissi

La colonna sonora per esplorare questi luoghi?

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