Storia di Cheryl Strayed e di tutti noi.
“Vaffanculo” urla Cheryl Strayed dall’alto di un burrone, nel quale ha appena visto rotolare via uno dei suoi scarponcini da trekking e lanciato giù con rabbia anche l’altro, dopo che, ansimando a denti stretti, si era appena tolta dall’alluce l’unghia insanguinata che aveva fermato il suo cammino. Quante domande senza risposta ci sono in quell’unica parola, solo in questa prima scena.
Perché mi trovo qui? Chi me l’ha fatto fare? Cosa pensavo di ottenere? Perché non mi sono preparato meglio? Perché doveva succedere proprio a me? Cosa mi è saltato in testa quando ho deciso di partire? Chi di noi non si è mai fatto almeno una di queste domande, trovandosi in qualcosa che è più grande di lui?
Cheryl arriva da una situazione disperata. Un’infanzia traumatica con un padre violento, una madre morta di cancro a soli quarantacinque anni e un matrimonio appena fallito. Depressione, dipendenza sessuale, abuso di droga. Fino ad arrivare ad un’unghia caduta e a ritrovarsi senza scarpe a metà del Pacific Crest Trail. “Vaffanculo. Ma chi me l’ha fatto fare?”, a quel punto non poteva pensare che a questo.
E’ chiaro che non tutti ci mettiamo in cammino per allontanarci da una situazione da film come quella di Wild (che pure è tratto da una storia vera), ma qualunque siano le nostre ragioni, anche se fosse solo per il sottile piacere di vedere la terra scorrere sotto di noi mentre muoviamo un piede appresso all’altro, inevitabilmente, arriva un certo momento in cui ci poniamo qualche domanda. Lento ma inesorabile, come il nostro incedere, risalendo dalle caviglie al cuore, qualche dubbio (di qualunque natura), prima o poi viene a galla, specialmente se camminiamo in solitaria.
Perché ho perso ogni contatto con quella persona? Chissà come sta, chissà se si ricorda di me, chissà se ogni tanto ci pensa. Cosa sarebbe successo se avessi risposto diversamente, quella volta? Dove sarei ora se fossi rimasto a lavorare dov’ero? Come sarebbe adesso la mia vita? Perché non parlo più spesso con i miei? Appena mi fermo chiamo. Perché quella volta, quella persona mi ha mentito? Perché ha pensato che non potessi comprendere? Perché a volte mento anche io, se quando mi mentono ci resto così male? Cosa farò quando avrò finito di camminare, come mi sentirò? Cosa dovrei fare della mia vita? Qual è la scelta giusta? Mi sposerò mai? Avrò dei figli? Riuscirò mai più ad innamorarmi? E se poi mi affeziono troppo a quella persona? E se mi fossi già affezionato? “La paura di innamorarsi non è già un po’ d’amore”? Aspetta, chi lo diceva? Chissà se riuscirò mai a far capire ad un’altra persona come mi sento quando cammino da solo. Chissà se questa canzone che sto ascoltando l’ha scritta uno a cui piace camminare da solo. Sembra che capisca come mi sento.
Mi starà venendo un’altra vescica? Ce la farò domani a ripartire? Chissà se a casa è tutto a posto. L’avrò chiuso il gas? Quanti chilometri ho fatto? Quanti ne mancano? Ho fame? Ho sete? Perché ho iniziato questo cammino? Dove sto andando veramente? Riuscirò a capire quella cosa che non mi torna o smetterò di pensarci con il passare del tempo? Tra quanto tramonta il sole? Domani pioverà? Troverò dell’acqua potabile? Dovrei avere uno zaino più leggero? Dovrei avere un cuore più leggero? Sarò dimagrito? Questa cicatrice se ne andrà prima o poi? Sono contento di quello che ho fatto fino ad ora? Sono pentito di quello che ho fatto fino ad ora? Se potessi tornare indietro, cambierei qualcosa? Se tornassi indietro, potrei realmente cambiare qualcosa? Forse no, forse niente poteva andare diversamente e tutto quello che è successo mi ha portato qui, ma non ne sono sicuro. C’è qualcosa di cui sono sicuro? Quant’è grande il cielo? Quante sono le stelle? Quanto è piccolo questo fiore? Quanto è bella la vita? Ma che caldo fa? Ma che freddo fa? Avrò portato i vestiti giusti? Ne avrò portati troppi? Chi sono io? Chi sono gli altri? Da dove vengo? Dove vado? Arriverò alla fine?
Si potrebbe continuare all’infinito, ma in fin dei conti, ognuno ha le proprie domande e le proprie risposte, chiuse a chiave nelle scarpe, pronte a seguirlo ovunque andrà.
Cheryl Strayed è rimasta senza scarpe, ma le domande se l’è portate dietro anche dopo l’eco di quel “vaffanculo” nel burrone. Le risposte a volte arrivano subito, a volte dopo mesi, a volte mai. Ma il punto è che non bisogna mai smettere di ascoltarle, anche se non si sa cosa rispondere. C’è una differenza tra superare e trasformare. Nel primo caso, ci si pone al di sopra, si guarda dall’alto ciò che ci è successo, come spettatori davanti ad uno schermo, semplicemente si aspetta che passi, che finisca. Nel secondo caso invece, ci si passa attraverso, tutte le volte che sia necessario, si cammina avanti e indietro nella stessa scena, fino ad uscirne trasfigurati, fino a cambiare forma per continuare a vivere.
Ed è questo il motivo, solo questo, continuare a vivere, per cui io, tu, Cheryl Strayed e tutti gli altri, un giorno ci alziamo e decidiamo di metterci in cammino.
Articolo ispirato dal film Wild (2014), adattamento cinematografico del libro Wild – una storia selvaggia di avventura e rinascita (2012) di Cheryl Strayed.
Penna e vibrazioni di Valentina Duca
La colonna sonora per fantasticare sui paesaggi del Pacific Crest Trail?
