21 agosto 2016

I giorni torridi e accecanti della Valle dell’Omo sono già lontani, niente più bambini pittati di sterco di vacca a prenderti la mano, niente più notti di vento secco camminando nel letto di un fiume riarso guidati dalla luce astrale. Rimpiango gli statuari Mursi che ci hanno accolto con le lance in mano pronti a farci fuori. Mi manca il volto di quella ragazza con il disco labiale che mi fa trasalire e mancare l’aria, un’altra me uguale uguale, un cazzotto metaforico e lo schiaffo vero, invece, di una bambina konso, solo perché ho accarezzato la mano della sorellina. Niente più bajaj squinternati in su e in giù nei villaggi Dorze che gridano faranj al nostro passaggio, niente mercati luridi, di marabù e colubus monkeys, niente lungochiomati facoceri genuflessi, niente balli tribali ai confini con il Sudan né cerimonie del caffè, nessuna canoa infestata di coccodrilli e ippopotami.

E’ mattina, cammino dentro una giornata piovosa nella foresta incantata di Harenna a Bale, in petto all’Etiopia. Penultimo malinconico giorno di viaggio, io detesto l’odore nauseabondo della fine.

Trekking faticoso e solitario, per ossi duri; di poltiglia in salita, di kudu e nyala che scappano, di babbuini e uccelli di qualsivoglia specie. Affondo nel fango, scivolo, mi riprendo. Acqua incessante si alterna a pallidi sprazzi di sole, disilluso sole che però ci permette di montare la tenda, a 4377 metri di altitudine. Non c’è molto da mangiare, qualche banana e un pezzo di pane.

Le scarpe sono zuppe, iniziano ad essere le cinque e sta calando la tenebra. La temperatura scende ancora, circa 7° C. E’ tempo di fermarsi e rinfrancarsi perché siamo in piedi dall’alba, è tempo di raggiungere a piedi il lodge più vicino. Niente doccia. Un freddo umido e bagnaticcio si impossessa di me. E come se non bastasse sono i giorni della luna. Per scaldarmi devo pensare al tepore dell’ultima volta che mi sono lavata nelle cascate bollenti di Wondo Genet, di cui conservo gli asciugamani ancora molli.

Scrivo il mio diario alla cupa luce di una finestra, momento non senza fascino seppur molto duro. Ore di vuota attesa, senza niente da attendere, provando a ritemprarsi con un tè davanti al fuoco di legni ammollati appiccato troppo tardi, in religioso silenzio e a piedi nudi perché scarpe e calzini sono completamente bagnati.

Kucha e Tezera hanno finito il digiuno sacro imposto dalla fede copto etiope e scenderanno a valle a festeggiare e a cercare le coperte per la notte. Non è mancato l’invito, ma il banchetto di carne cruda, peperoncino e grappa non è per signore, nemmeno se con lo stomaco di amianto come il mio. Per noi collosa pasta piccante e collosa injera.

Aspetteremo, senza jeep non si torna alla tenda, è freddo, buio e il terreno è dissestato e in discesa. Non ne usciremmo vivi poi, perché vagano i predatori notturni. Passano le ore. Niente linea, niente telefoni. Niente Kucha. Niente Tezera. E non si sa neanche dove siano. Il fuoco appassisce, fallito ogni tentativo di asciugarsi. Sopraffatti da sconforto e gelo.

La coperta l’hanno trovata, è quella interna: sono tornati ubriachi fradici, come fradicia è la tenda, imbarcata di acqua piovana. Sono profananti, ma anche divertenti da morire, incapaci di stare in piedi e aiutati nella vestizione mentre sbiascicano parole a caso e urlano, sacri invero come l’officiante al microfono che ha recitato nottetempo da chissà dove la litania della veglia, rendendo impossibile anche solo una vibrazione di riposo.

Bale Mountains National Park

6° 47′ 53.281″ N – 39° 45′ 28.825″ E

Nulla possono i sacchi a pelo e le coperte che ci ha regalato Mekonnen qualche giorno prima. L’acqua inizia a scrosciare, adesso diluvia. E per liberarsi, la natura selvatica. Ho pregato che finisse tutto in fretta snocciolando un balzano rosario-chincaglieria hammer, che arrivassero presto le cinque, l’ora della sveglia, ripetendo il mantra “passeremo anche questa notte” e fingendo di dormire per sfuggire all’ira funesta di Luca che al mio fianco inveisce contro tutto e tutti con i piedi completamente immersi nell’acqua e un mal di pancia incontenibile. Intorno bestie che ummeggiano e si avvicinano curiose.

Quella brutta notte è stata la più bella della mia vita.

Penna e scatti di Eva Agostinelli

La colonna sonora per lunghe nottate etiopi?

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