Se avete mai organizzato un viaggio in modalità self-guided, sapete bene che la prima cosa di cui si va in cerca sono ispirazioni, consigli, idee. Possono arrivare da un libro, da un film, da un amico o anche da una conversazione ascoltata per caso su un treno. Quando avrete la vostra pista da seguire, la seconda cosa di cui vi occuperete sarà cercare una guida. Oppure mappe, informazioni su internet… Insomma, la seconda cosa da fare è un piano.
A me per esempio succede che all’improvviso, magari dopo un bicchiere di vino da meditazione e della buona musica, mi alzo di scatto per prendere carta e penna e incomincio a scrivere liste di cose. Cose da vedere, cose da mangiare e dove trovarle, cose da portare con me. Il viaggio prende forma nella mia immaginazione e nel mio cuore e i piedi sotto il tavolo iniziano a scalpitare.
40° 26′ 51.511″ N – 16° 28′ 24.865″ E
In questi ultimi tempi il mio piano è stato quello di non avere un piano. C’era solo la voglia di tornare nel mio adorato sud e l’idea, epifanica, scintillante, di camminare da sola sotto il sole spaccapietre dell’estate.
Una specie di rito di purificazione dell’anima, che in qualche modo sentivo dovesse passare attraverso tanto, tanto sudore.
Dopo un volo di sola andata e una serie di ricongiungimenti familiari con persone, rumori e luoghi del mio Salento, mi sono presentata all’appuntamento con me stessa alle cinque del mattino, con le scarpe da trekking ben allacciate, lo zaino più leggero possibile sulle spalle e un misto di terrore e adrenalina addosso.
Mi accingevo ad iniziare il primo vero e proprio cammino della mia vita. Tra luglio e agosto, con una temperatura di 26 gradi già all’alba. Senza la più pallida idea di come si curi una vescica. Da sola.
Ho scelto di srotolare i miei pensieri lungo la Via Peuceta, un filo di quasi 170 km che s’impiglia tra fronde d’ulivo, rocce e arbusti e che unisce, nel modo meno lineare possibile, le città di Bari e Matera. Siamo nel circuito del Cammino Materano, una ragnatela che abbraccia molte terre di briganti, con le sue cinque vie per raggiungere la perla di pietra del sud Italia.
La via Peuceta (che prende il nome dagli antichi abitanti delle Murge) è la prima all’interno del circuito ad essere ristrutturata, manutenuta e segnalata per poter accogliere i pellegrini, dall’inizio del 2019, con un grande sforzo di cooperazione tra ideatori del cammino, professionisti, appassionati camminatori, responsabili di tappa e ospitalieri, tutti volontari.
Un delicato lavoro di ricucitura tra sentieri interrotti, vecchi tratturi, strade demaniali: zone a volte riconquistate da una natura pigra ma tenace, altre volte rimasticate nell’asfalto di una sedicente civiltà in costante espansione. Per questo il fondo del cammino è per metà sterrato, per metà asfalto. Laddove la storia è stata soffocata dal manto catramoso del progresso, bisogna immaginare gli strati sottostanti, i passi delle antiche civiltà, migliaia di anni prima dei nostri. E se non siete forti con l’immaginazione, allora sarete ripagati piuttosto dalle facce schiette della gente, dalla loro imbattibile ospitalità, dal loro buon sangue che non mente mai.
E se non vi basta ancora, al resto ci penserà la terra, con i suoi paesaggi di infinita vastità, con le sue spighe al vento, i suoi molti frutti maturi che vi si offriranno spontaneamente lungo il percorso, e le sue meravigliose creature da ammirare nel silenzio del meriggio.
Se vuoi provare un’esperienza di self guided, dai un occhio qui: escursioni in solitaria
Ma perché fare tutta questa strada da soli? Perché il cammino è un’allegoria della vita. Siamo soli alla nascita, quando abbandoniamo il ventre materno, quel dolore lancinante ai polmoni, quell’immane sforzo del primo respiro è solo e soltanto nostro. Siamo soli alla morte, quando lentamente lasciamo sbiadire i volti a noi cari che ci circondano per dirigerci altrove da questa esistenza. E siamo soli anche mentre mettiamo un passo davanti all’altro, mentre nello zaino ci portiamo in spalla gioie e dolori cercando di trovargli un senso, mentre resistiamo al freddo o al caldo, ai crampi, alle vesciche, alla stanchezza e a volte anche alla fame e alla sete, pur di non perdere il ritmo e arrivare a fine tappa.
Si cammina da soli per imparare ad ascoltarsi e ad ascoltare, per avere il cuore pulito da offrire a coloro che già ci stanno aspettando lungo la via, senza che noi lo sappiamo ancora.
Si cammina da soli per sovrapporre la strada che abbiamo sotto i piedi con quella che ci trapassa l’anima da parte a parte e per sentire nel profondo che dopo aver raggiunto la meta, dopo aver vinto la sfida con noi stessi, in fondo siamo già pronti per rimetterci in cammino.
Penna e scatti di Benedetta Perissi
La colonna sonora per esplorare questi luoghi?
